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Master Europrogettazione a Bruxelles: Mauro Bombardieri da ex corsista della Special School ad autore

di Sofia Fiorini


 

Qual è stata per te la spinta a iscriverti al Master, perché guardavi all’Europa come ad un’opportunità che avrebbe potuto fare al caso tuo?

Ero interessato a un’esperienza di studio internazionale e ad approfondire le mie conoscenze in termini di formazione sui bandi europei, volevo conoscerne i contenuti e i dettagli. Soprattutto mi interessava scoprire la realtà della relazione tra commissione europea e partner internazionali. Direi che le spinte principali per partecipare al master riguardavano i contenuti e la gestione delle relazioni dell’euro-progettazione. Ho sentito di dovermene occupare in un modo più accurato, che andasse oltre la superficie. Tanti parlano di queste cose, ma pochi hanno competenze reali.

Come ti aiutato il Master in ciò che fai oggi?

Il mio lavoro attuale non è lo stesso di quando mi sono iscritto al master nel 2016. Oggi lavoro nell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, nel dipartimento di sviluppo di relazioni istituzionali, e sono il responsabile dell’ufficio per l’attività di promozione.

Il knowledge che ho acquisito al master è confluito poi in una parte del libro che ho scritto, Chief Digital Officer. Gestire la Digital Transformation per persone e organizzazioni. Una parte del manuale, dedicato al cambiamento organizzativo seguìto alla digital trasformation, affronta appunto il tema degli strumenti di formazione della comunità europea, quei progetti di formazione che sono finanziati proprio dai bandi europei. Come si può gestire il cambiamento, se non con la formazione?

Secondo te, cosa possono fare le Istituzioni Europee per chi lavora nel campo della cultura, del sociale, dell’innovazione. Ci sono risorse?

Credo che le Istituzioni Europee potrebbero promuovere di più il concetto di Europa attraverso attività inerenti alla formazione, al benessere pubblico, ma anche dal punto di vista politico ed economico. Le risorse stanziate e da stanziare in Europa ci sono, ma in Italia vengono usate poco e male. L’informazione è scarsa, così come la conoscenza delle modalità di accesso ai bandi e al loro utilizzo. In questo senso, l’esperienza del master permette di verificare personalmente come funziona il progetto europeo e di approfondire anche secondo quali modalità si stilano i bandi. Le istituzioni dovrebbero cercare di istituire partnership con enti come il vostro per promuovere la conoscenza dei bandi. Le istituzioni hanno il compito, oltre che di stanziare risorse, anche di promuoverne la conoscenza, per far sì che la possibilità di accedervi sia reale e non solo virtuale. E per promuovere ciò, le istituzioni hanno bisogno di competenza e professionalità nelle figure di chi diffonde questo tipo di informazioni.

Cosa ti sei portato a casa dall’esperienza del Master e dall’incontro coi docenti?

Sicuramente il master mi ha permesso di avere una visione più approfondita rispetto a come si muove la commissione europea per la gestione dei finanziamenti e mi ha dato una panoramica internazionale dei progetti di formazione.

Per me è stata fondamentale nell’apprendimento la parte di workshop. Ricordo di aver scelto, tra le varie proposte, per la mia esercitazione sui bandi reali un progetto per diffondere la cultura dell’integrazione europea. Esercitarsi su un tema così interessante, come per me in questo caso era la richiesta di finanziamenti per attività che promuovessero il concetto di cittadinanza europea, è stato senza dubbio stimolante.

I docenti sono tutti professionisti di grande esperienza, con cui sono rimasto in ottimi rapporti. Soprattutto è stato utile per noi il fatto che facessero parte della commissione europea: ci hanno saputo spiegare nel dettaglio la relazione tra team di progetto e commissione nella fase di richiesta del finanziamento.

Poi è stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano, ho conosciuto tantissime persone di realtà lavorative diverse, provenienti da vari paesi di Europa. Per me è stata un’occasione di arricchimento culturale e personale eccezionale.

Che cosa ci vuole per scrivere un progetto – di formazione, e non solo – vincente?

Ciò di cui è strettamente necessario assicurarsi per garantire successo al proprio progetto è la capacità di individuarne le ricadute positive e di renderle dimostrabili. Il progetto deve implicare, già dal nucleo, l’effetto delle proprie ricadute sociali positive. È chiaro che più questi effetti positivi sulla comunità sono tangibili ed evidenti, più il progetto risulterà vincente. È ovvio poi che sia necessaria un’ottima conoscenza dei meccanismi di funzionamento dei bandi e delle istituzioni europee. Il master dà un ottimo inquadramento a riguardo. In linea generale, un buon progetto ha tra le sue premesse un’alta qualità di pianificazione e professionalità delle parti.

Cosa consiglieresti a chi si affaccia per la prima volta all’universo dell’euro-progettazione?

A chi comincia adesso ad occuparsi di progetti europei e vuole farlo in modo serio, consiglio indubbiamente di fare questo master e di farlo a Bruxelles. La dimensione di scambio culturale è maggiore che non nelle sedi italiane, il tasso di internazionalità è più alto. Fare il master a Bruxelles offre poi la possibilità di sentirsi in prima persona parte della comunità europea, c’è maggiore facilità di scambio. Un consiglio per chi vuole occuparsi di questo settore è anche di non avventurarsi a fare progettazione senza avere knowledge. Bisogna dotarsi di strumenti validi e di competenze reali.

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    Dal Master Europrogettazione di Europa Innovation all’European External Action Service. Intervista a Roberta Di Rosa, una carriera da cui prendere esempio!

    di Arianna Ioli


     

    Arianna: Vivi e lavori a Bruxelles, nel cuore delle Istituzioni Europee, ma quale lavoro fai esattamente?

    Mi occupo di prevenzione dei conflitti, dei problemi di inclusione di genere, di prevenzione delle atrocità di massa e di pace. Lavoro per le istituzioni europee e in particolare per l’EEAS, European External Action Service, il servizio diplomatico dell’Unione Europea. (ndr. Nel team di Federica Mogherini!)

    A: Immaginavi che questo sarebbe stato il tuo lavoro del futuro? Da dove sei partita? Come guardavi all’Europa dieci anni fa?

    Non sapevo sarebbe stato questo il mio lavoro, ma ho creato tutti i presupposti perché lo diventasse.

    Ricordo aver sentito parlare dell’UE per la prima volta a 14 anni da un funzionario che era in Sicilia per lavoro. Sembrava appassionato del suo lavoro sullo sviluppo sostenibile. Iniziai a studiare come arrivate al quartiere generale dell’UE e all’università creai un curriculum che potesse riflettere il mio interesse verso gli affari internazionali, la cooperazione allo sviluppo e i diritti umani. Iniziai a lavorare per l’università e quando si presentò l’opportunità inviai un cv per uno stage al parlamento europeo. Qualche mese dopo mi ero trasferita a Bruxelles e lavoravo per la commissione per i diritti umani in parlamento, come stagista. Durante lo stage ho capito come funzionavano i concorsi europei e ne passai uno. Una volta interna al sistema tutto divenne più chiaro, anche in termini di scopi dell’EU, che dall’Italia sembrava lontana e poco attenta ai suoi cittadini. Avendo studiato relazioni internazionali, dieci anni fa capivo bene i limiti della collegialità che 28 Stati Membri potessero comportare in termini di azione concreta dell’Unione Europea. Una volta dentro, il meccanismo si apprezza per essere democratico e flessibile.

    A: E come la immagini tra dieci anni?

    Tra 10 anni mi aspetto un’Europa più cosciente dei suoi vantaggi e con una società civile che la difenda dall’attacco nazionalista crescente.

    A: Qual è stata la spinta a fare il primo passo?

    Studiare come migliorare le cose a livello nazionale e internazionale ha rappresentato sicuramente l’inizio del mio percorso.

    A: E la tua esperienza al Master? E’ stata utile?

    Si, molto. Mi ha dato un’idea di come funzionassero i fondi e i progetti europei e mi ha fatto capire che la mia strada cominciava dal seguire i progetti sul campo per poi evolvere e scrivere le politiche sui finanziamenti.

    A: Dopo il Master che cosa è successo? In che direzione hai lavorato e come sei riuscita ad approfondire?

    Al tempo del master non lavoravo ancora per la commissione europea e ho passato il mio concorso poco dopo. Questo mi ha consentito di entrare alla direzione generale per lo sviluppo e la cooperazione, dove ho avuto modo di esplorare a lungo la parte operativa e finanziaria dei progetti europei.

    A: Si può lavorare in Europa? C’è posto per i giovani?

    Assolutamente si, si lavora in Europa! Ma servono molte più occasioni per informare i giovani delle possibilità che l’Unione europea offre, dagli stage ai concorsi per diventare funzionari.

    A: E per chi vuole fare imprenditoria nel proprio paese? Un consiglio “europeo”?

    Cominciare da idee semplici che aiutano a sviluppare soluzioni pratiche per raggiungere obiettivi specifici. Per questo occorre sapere come scrivere un progetto, il master è il posto imparare come farlo.

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